frana
Intervista al Prof. Scarascia Mugnozza di Simone Collini

“Queste indagini costituiscono una base fondamentale per pianificare nella maniera più sicura possibile la ricostruzione”. A parlare è Gabriele Scarascia Mugnozza, professore ordinario di Geologia Applicata presso l’Università di Roma “la Sapienza”. L’ateneo della Capitale condurrà studi di approfondimento su 295 aree franose presenti nei 138 Comuni del cratere sismico 2016, insieme alle Università di Perugia, di Urbino “Carlo Bo”, di Camerino e alla “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara, con ISPRA che affiancherà i soggetti coinvolti e l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale fornendo il suo supporto tecnico e scientifico.

 

Come intendete procedere nell’analisi di queste aree, professor Scarascia Mugnozza?

“Innanzitutto, esamineremo tutti gli archivi e i database in nostro possesso, lavorando in modo coordinato tra noi atenei e mantenendo un contatto costante con l’Autorità. A seguito della sequenza sismica del 2016-2017 abbiamo monitorato una serie di frane innescate o riattivate dal terremoto, e in particolare alcune delle aree perimetrate in ambito PAI come P3 o P4, ovvero a pericolosità da frana elevata o molto elevata. Un’attenta lettura dei dati costituirà il primo passo. Dopodiché, si dovrà procedere con un’analisi multitemporale per ricostruire l’evoluzione dei versanti interessati dalle frane negli ultimi decenni”.

 

Che tipo di strumentazione sarà utilizzata?

“Una parte fondamentale sarà rappresentata dalle foto aeree, dalle ortofoto e dalle immagini raccolte dai satelliti, e in particolare quelli della famiglia Sentinel e della costellazione COSMO-SkyMed, che ci permettono di visualizzare e di definire molto bene i contorni delle frane e di seguire se c’è stata, e in caso affermativo di che tipo, un’evoluzione delle aree franose negli ultimi decenni”.

 

Procederete anche con dei sopralluoghi sul campo?

“Assolutamente, ma prima avvieremo una verifica preliminare delle aree perimetrate P3 o P4 a seguito delle istruttorie svolte a suo tempo dalle Regioni, dai Comuni e dalle Autorità di Bacino competenti. Parliamo di 295 aree franose ma che in realtà si compongono a loro volta di 434 poligoni, bisognerà pianificare molto bene l’attività di ricognizione sul territorio che, certamente, sarà effettuata a una scala di dettaglio (1:5.000). Questo lavoro permetterà di verificare quelle che sono le effettive perimetrazioni derivanti dai PAI e di analizzare in loco se quanto acquisito dai dati e dalle immagini sia confermato o meno”.

 

Chi effettuerà questi rilievi sul campo?

“Esperti delle Università che effettueranno e coordineranno il lavoro”.

 

Di quante persone parliamo?

“Per la Sapienza avremo dieci unità di personale strutturato tra professori ordinari, associati e ricercatori, oltre a dottorandi, assegnisti, borsisti, e poi ci avvarremo di personale che sarà contrattualizzato ad hoc”.

 

Che tipo di scenari possiamo aspettarci da queste indagini?

“Fondamentalmente tre, più un quarto che metterei a parte. Il primo: dagli studi può derivare una conferma delle attuali perimetrazioni. Il secondo: le frane individuate non sono a pericolosità molto elevata e potranno quindi essere "declassificate". Il terzo: le indagini inducono a modificare le aree perimetrate, cioè ad allargarle o restringerle”.

 

Quale sarebbe il quarto scenario a cui accennava?

“È uno scenario residuale ma che non mi sento di escludere, e cioè che al termine delle indagini e dei rilievi di superficie l’esito rimanga incerto”.

 

Cioè potrebbero permanere dei dubbi sulla classificazione pericolosità molto elevata?

“Esattamente. A quel punto sarebbero da confermare le perimetrazioni e occorrerebbero però delle indagini specifiche di dettaglio con sondaggi meccanici e indagini geofisiche in sito”.

 

Secondo l’accordo siglato da Autorità di distretto e Commissario, l’esito delle indagini dovrebbe arrivare dopo sei mesi: è un tempo verosimile considerata la quantità di aree da investigare?

“Direi di sì. Partiremo a inizio o al massimo a metà aprile e, considerando anche alcune difficoltà derivanti dalla pandemia da Covid-19 che potrebbero esserci, comunque per l’autunno avremo il quadro completo. Queste analisi vanno a completare un’attività che è partita con lo studio della microzonazione sismica di terzo livello, prima importantissima operazione che serviva a consentire una corretta pianificazione per ricostruire. Con l’esame delle faglie attive e capaci, ora avviato e coordinato dall’Ingv, e adesso con queste indagini condotte dalle cinque Università con Ispra si avrà finalmente una base fondamentale di conoscenza del territorio per pianificare nella maniera più sicura possibile la ricostruzione”.

 

Il vostro contributo a quel punto finirà?

“No, perché da un lato continueremo a lavorare in stretto accordo con l’Autorità per informatizzare tutti i dati raccolti in un Gis ad hoc, e poi dovrà partire una fase di monitoraggio satellitare di queste aree franose, che secondo quanto stabilito dal Commissario dovrà avere un orizzonte temporale di almeno altri 24 mesi”.

Data di ultima modifica: 07/04/2023
Data di pubblicazione: 18/03/2021