Aspetti socio-economici
La componente sociale
Il distretto idrografico dell’Appennino Centrale, la cui superficie è stimata in circa 42.506 kmq, comprende le seguenti Regioni e le relative Province:
Regione Abruzzo: Province di L’Aquila, Pescara, Chieti, Teramo;
Regione Emilia Romagna: Provincia di Forlì-Cesena;
Regione Lazio: Province di Frosinone, Latina, Rieti, Roma, Viterbo;
Regione Marche: Province di Ancona, Macerata, Fermo, Ascoli Piceno, Pesaro e Urbino;
Regione Molise: Provincia di Isernia;
Regione Toscana: Province di Arezzo, Grosseto, Siena;
Regione Umbria: Province di Perugia, Terni.
All’interno del perimetro del distretto si colloca lo Stato indipendente della Città del Vaticano.
La popolazione residente nell’ambito territoriale del distretto ammonta a circa 7.880.000 unità, distribuita sul territorio come indicato nella Tabella A.
Tabella A
Sub Distretto |
n° Abitanti |
Superf. (Kmq) |
Densità (ab/Kmq) |
---|---|---|---|
Bacino del F. Tevere |
4.680.000 |
17480,00 |
268 |
Sub-distretto bacini laziali: |
|
|
|
- Bacini settentrionali |
315.000 |
2.737,50 |
115 |
- Bacini meridionali |
880.000 |
2.614,00 |
337 |
Sub-distretto bacini marchigiani meridionali |
690.000 |
4.705,00 |
147 |
Sub-distretto bacini abruzzesi |
1.320.000 |
8.531,00 |
155 |
Totali/Densità media |
7.885.000 |
36.067,50 |
219 |
Geologia del distretto
Lineamenti fisici
Caratteri geologici
L’assetto geologico del Distretto dell’Italia Centrale è il risultato dell’evoluzione della catena Appenninica, la cui costruzione, iniziata nel Miocene, si è prolungata fino a tempi molto recenti.
Si tratta dell’evoluzione di un sistema orogenico catena-avanfossa-avampaese durante la quale gli sforzi compressivi sono migrati dai settori occidentali peritirrenici verso quelli orientali dell’area adriatica; le fasi compressive sono state accompagnate e poi seguite, a partire dal Miocene superiore, da una tettonica distensiva, anch’essa in migrazione da ovest verso est e non ancora ultimata. La migrazione ha portato allo sviluppo di sistemi di faglie normali neogenico-quaternarie che hanno dislocato le strutture della catena e generato depressioni tettoniche, anche intramontane, in cui si sono deposte successioni sedimentarie da marine a continentali.
Alla tettonica distensiva plio-pleistocenica, prevalentemente sul versante tirrenico della catena, è legata la formazione delle estese depressioni interne alla dorsale appenninica, e l’impostazione di una serie di apparati vulcanici sul versante Tirrenico. Il vulcanismo si è sviluppato in direzione NW-SE con età decrescente da Nord verso Sud. Lo svuotamento delle camere magmatiche, associato alla tettonica distensiva peritirrenica, ha prodotto il collasso delle sommità degli apparati e la formazione di vaste depressioni, spesso colmate da laghi (Bolsena, Vico, Latera, Bracciano, Albano, Nemi).
Sul versante adriatico, l’assetto strutturale del Distretto in area pedeappenninica è anch’esso caratterizzato da strutture plicative che coinvolgono le formazioni sia della sequenza meso-cenozoica sia della sequenza mio-pliocenica.
Nell’area collinare degradante verso l’Adriatico, si riconoscono ampi sinclinori ed anticlinori interrotti da faglie appenniniche ed anti-appenniniche.
Le pianure alluvionali, infine, sono generalmente impostate su faglie anti-appenniniche e la loro morfogenesi è stata notevolmente influenzata dalla tettonica recente. I bacini idrografici marchigiani e abruzzesi, si sviluppano lungo faglie trasversali N 35-70, ad andamento anti-appenninico, che interessano la sequenza plio-pleistocenica.
I tracciati dei principali fiumi del distretto sono il risultato delle fase compressiva, nella parte orientale, e distensiva in quella occidentale: nell’area marchigiana si modella un paesaggio “a pieghe” mentre nell’area umbra si riconoscono ampie fosse separate da zone rilevate.
Il Fiume Tevere, il principale corso d’acqua del distretto con recapito nel Mar Tirreno, ha un tracciato che nell’insieme si configura come un reticolo rettangolare: mantiene una prevalente direzione di scorrimento parallela alla dorsale appenninica, tagliandola bruscamente con “gomiti”. I fiumi adriatici invece attraversano ortogonalmente le strutture appenniniche e giungono in mare mantenendo tra loro un certo parallelismo.
Caratteri idrogeologici
L’assetto idrogeologico del distretto dell’Appennino centrale è strettamente legato agli elementi geologici e tettonici che caratterizzano l’area.
Gli acquiferi più rilevanti, sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di vista quantitativo sono contenuti nelle dorsali carbonatiche che occupano tutta la porzione centro-meridionale del distretto. Le litologie affioranti si possono raggruppare in tre macrogruppi appartenenti alle serie statigrafiche di piattaforma, transizione e bacino.
I limiti principali delle idrostrutture carbonatiche sono costituiti da elementi tettonici, con andamento principalmente appenninico (NW-SE) e antiappenninico (NE-SW). In particolar modo nel settore umbro-marchigiano, dove affiorano i litotipi della serie umbro-marchigiana, le strutture sono allungate secondo direttrici tettoniche. Anche le direttrici di flusso e i punti di emergenza sono influenzati da elementi tettonici, tra cui svolgono un ruolo fondamentale i due importanti motivi tettonici compressivi noti come “linea della Valnerina” e “linea Olevano-Antrodoco-Monti Sibillini”. Quest’ultima, che condiziona l’assetto strutturale dell’intera Italia centrale, porta i depositi di ambiente pelagico e i depositi di transizione, interessati da movimenti traslativi con marcata vergenza orientale, ad accavallarsi sui depositi di piattaforma e costituisce un netto limite di permeabilità.
Oltre agli acquiferi carbonatici cui si aggiungono gli acquiferi delle conche intramontane, meritano attenzione gli acquiferi alluvionali che, soprattutto nel bacino del fiume Tevere, occupano porzioni relativamente estese di territorio.
Mentre la fascia tirrenica tra la Maremma e la Piana di Fondi è occupata da acquiferi costieri di scarsa importanza a livello di distretto, gli estesi affioramenti di rocce di origine vulcanica sono sede di acquiferi significativamente produttivi ma intensamente sfruttati.
Per contro le aree pedemontane del versante adriatico ospitano localmente acquiferi di modesta entità nei depositi torbiditici o nei depositi di piattaforma terrigena.
Caratteri morfologici
I principali caratteri fisici del bacino sono individuabili in:
la dorsale appenninica dal monte Fumaiolo (a nord) al monte Cotento (a sud), dislocata lungo la direttrice NNW-SSE;
la dorsale tirrenica dal monte Amiata (a nord) ai Colli Albani (a sud), dislocata lungo la direttrice NNW-SSE;
la struttura idrografica “ad albero” del reticolo idrografico del fiume Tevere intercluso tra le due dorsali.
La pluviometria (ed il regime delle precipitazioni in generale), la geologia (e la litogeologia in particolare), l’uso del suolo e l’estensione dei vari sottobacini convergono nel disegnare la seguente suddivisione in sub-unità fisiche:
la parte settentrionale dell’Appennino, che racchiude il bacino del fiume Tevere chiuso a monte della confluenza con il fiume Nera, è caratterizzata da un’idrologia e da un’idraulica “povere” rispetto alla parte bassa del bacino. Nei lineamenti del “paesaggio” abbondano le opere (invasi artificiali e laghetti collinari) che l’uomo ha realizzato ed ha in corso di realizzazione per immagazzinare le acque di ruscellamento superficiale, considerata la modesta produttività delle sorgenti della parte settentrionale dell’Appennino e quella pressoché nulla delle emergenze nei settori collinari degradanti verso sud dall’Appennino stesso;
la parte centrale dell’Appennino che alimenta il basso corso del Tevere con gli affluenti in sinistra idrografica dal fiume Nera al fiume Aniene, è caratterizzata dalla grande risorsa delle acque sotterranee (con un regime di portate sorgentizie molto poco variabile nel corso dell’anno). I lineamenti del “paesaggio” sono segnati dalle opere di regolazione idraulica per la produzione idroelettrica, realizzate a partire dai primi anni del secolo scorso;
i vulcani della dorsale tirrenica, che con i loro acquiferi alimentano la struttura idrografica tiberina e sorreggono i laghi del bacino. Il “paesaggio” è segnato da piccoli centri urbani immersi in un tessuto composito, fatto di residenza rurale e di attività agricole e silvo-pastorali di piccole e medie dimensioni, la cui unica fonte di alimentazione idrica sono le acque sotterranee, siano esse captate attraverso le emergenze sorgentizie sia con i pozzi.
In aggiunta alle principali aree morfologiche, va menzionato anche il delta del fiume, che si è sviluppato negli ultimi 20.000 anni. La sedimentazione del delta è molto eterogenea e dipende principalmente dalla fluttuazione del livello del mare causata dall’ultima era glaciale. La più rapida espansione del delta è avvenuta negli ultimi cinque secoli, probabilmente in relazione con la piccola era glaciale (1550-1850).
Idrografia del distretto
Le risorse idriche del bacino
Le risorse idriche superficiali ed il reticolo idrografico perenne
La rete idrografica nel bacino del Tevere è fortemente condizionata dalle condizioni climatiche e dall’evoluzione geologica recente. Le condizioni geologiche influenzano il rapporto tra l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo e lo scorrimento superficiale.
Nel settore orientale del bacino, la dorsale appenninica si eleva con una quota media di 1000 m.; il reticolo di drenaggio è molto esteso e segue i sistemi di fratture delle rocce che sono state interessate prima da una tettonica compressiva e, successivamente, da una tettonica distensiva con formazione di horst e graben.
La parte superiore del corso principale del fiume è a carattere torrentizio e soltanto negli ultimi 100 Km, dopo l’innesto del tributario fiume Nera, si stabilizza e assume un carattere meandriforme.
La portata media del Tevere alla chiusura del bacino è pari a 225 m³/s, con valori intorno a 360 m³/s in febbraio, 217 m³/s in maggio, 125 m³/s in agosto e 250 m³/s in novembre. Le portate massime superano i 1500 m³/s e le minime scendono a 60 m³/s. Eccezionalmente la portata del Tevere alla foce ha raggiunto valori minimi intorno ai 30 m³/s e valori massimi superiori a 3.500 m³/s.
I valori medi di magra invece si aggirano sugli 80 m³/s, mentre fino ai primi del ‘900 si attestavano intorno a 130 m³/s.
Il bacino presenta un esteso reticolo idrografico alimentato costantemente dalle acque sotterranee (reticolo perenne) ed un reticolo, che si attiva solo nei periodi piovosi, alimentato dalle acque di ruscellamento.
Le acque sotterranee, provenienti dalle idrostrutture carbonatiche, dagli apparati vulcanici e dalle coltri alluvionali fluviali e fluvio-lacustri, alimentano il flusso di base rappresentato dalla portata in alveo nei periodi con assenza di precipitazioni (e quindi di ruscellamento superficiale).
Dove mancano consistenti serbatoi di acque sotterranee, il regime dei corsi d’acqua assume carattere stagionale, con fasi estive di magra estrema o anche di totale esaurimento.
È questo il caso degli affluenti del Tevere posti a monte della diga di Corbara (con l’eccezione del sistema Chiascio-Topino, alimentato da acque sorgive, Nestore e del sistema Chiani-Paglia).
Il settore settentrionale, denominato Alto Tevere, è prevalentemente costituito da depositi argilloso-arenacei ed è povero di risorse idriche sotterranee. I corsi d’acqua sono caratterizzati da valori molto elevati di ruscellamento di superficie nelle stagioni più umide e da marcate magre estive. In questo settore i rapporti tra acque superficiali e sotterranee assumono caratteri differenti nelle diverse stagioni. Nei periodi più umidi il ruscellamento di superficie alimenta gli acquiferi alluvionali, mentre nei periodi aridi il deflusso superficiale risulta sostenuto dalle risorse immagazzinate nei depositi fluvio-lacustri o in acquiferi di modesta entità.
Il settore sud-orientale della dorsale appenninica, dove dominano i rilievi carbonatici, si può considerare un enorme serbatoio di acque sotterranee che alimentano un esteso reticolo idrografico perenne, con portate di magra estiva variabili da qualche centinaio di litri al secondo a qualche decina di metri cubi al secondo. In quest’area, durante l’anno le acque sotterranee alimentano costantemente il reticolo idrografico tramite sorgenti sia puntuali sia lineari.
Il settore sud-occidentale, costituito dagli apparati vulcanici, è caratterizzato dalla presenza di un minuto reticolo di modesti corsi d’acqua perenni, che hanno portate di magra generalmente inferiori al metro cubo al secondo; anche in questo settore, il reticolo idrografico perenne viene costantemente alimentato da apporti di acque sotterranee.
Negli estesi depositi alluvionali, che bordano il corso del Tevere a valle del Nera, è ospitato un importante acquifero, prevalentemente alimentato dal deflusso superficiale. Le acque immagazzinate nei depositi alluvionali hanno continui scambi con le acque di superficie, regolati dalle diverse condizioni di potenziale, che mutano nel corso delle stagioni.
Le risorse idriche sotterranee
Queste sono suddivise, in relazione alla natura delle rocce che le costituiscono, in tre principali categorie: strutture carbonatiche, strutture vulcaniche, acquiferi alluvionali (compreso l’acquifero costiero).
Idrostrutture carbonatiche
Si identificano nel bacino 14 “idrostrutture” prevalentemente costituite da rocce carbonatiche, dove sono concentrate le principali risorse idriche sotterranee che alimentano gran parte delle sorgenti e del reticolo idrografico perenne del bacino del Tevere.
Queste “idrostrutture” sono costituite da rocce che hanno caratteri sufficientemente omogenei, chiuse alla periferia da limiti idraulici generalmente ben definiti. Le rocce che costituiscono le idrostrutture mostrano sempre particolare attitudine ad assorbire, immagazzinare e a rilasciare in superficie le acque meteoriche attraverso le sorgenti.
Tralasciando la descrizione analitica di tali idrostrutture è interessante però conoscere le portate delle sorgenti puntuali e lineari alimentate dalle medesime, riassunte della sottostante tabella.
Indrostruttura |
Portata di magra ordinaria (m3/s) |
Portata media (m3/s) |
---|---|---|
Umbria nord - orientale |
3,50 |
6,5 |
Valnerina |
15 |
19 |
M.te Terminillo |
5 |
6,5 |
Stifone - Montoro |
10 |
13,5 |
M.te Nuria e Monte Velino |
22 |
32 |
M.ti Simbruini settentrionali |
7,5 |
14 |
Capore, M.ti Lucretili-Tiburtini Meridionali e M.ti Cornicolani, Marsica occidentale, medio Aniene |
10* |
15* |
Idrostrutture minori |
|
1,0 |
Totale |
73 |
107,5 |
* Valori stimati
Acquiferi degli apparati vulcanici
Gli apparati vulcanici Vulsini, Cimini e Sabatini costituiscono gran parte del versante destro del bacino del Paglia e del versante destro del bacino del Tevere, a valle della confluenza con il Paglia. L’apparato vulcanico dell’Amiata è posto all’estremo margine nord-occidentale del bacino del Paglia. L’apparato vulcanico Albano costituisce il versante sinistro della valle del Tevere dopo la confluenza con il fiume Aniene.
Tutti questi apparati vulcanici sono sede di acquiferi che alimentano un’estesa rete di sorgenti prevalentemente lineari.
Gli apparati vulcanici sono costituiti da prodotti piroclastici alternati a colate laviche irregolarmente distribuite. Queste rocce poggiano su un substrato argilloso-sabbioso plio-pleistocenico e, localmente, sui depositi alluvionali del Paleotevere, che hanno la funzione di dreno nei confronti delle piroclastiti soprastanti.
Questi acquiferi, costituiti da rocce silicee, hanno la caratteristica di erogare acque con salinità molto bassa, anche se in alcuni settori la miscelazione con fluidi di origine geotermica conferisce alle acque caratteristiche aggressive con forti incrementi della salinità.
Nella seguente tabella sono riportate le portate delle sorgenti puntuali e lineari alimentate dagli acquiferi degli apparati vulcanici:
Acquiferi |
Portata (m3/s) |
---|---|
Monte Amiata |
0,2 |
Vulsini, Cimini e Sabatini |
10,90 |
Colli Albani |
3,8 |
Totale |
14,90 |
Acquiferi significativi nei depositi alluvionali fluvio-lacustri e costieri
I depositi alluvionali fluvio-lacustri del bacino del Tevere si possono dividere in tre grandi gruppi che si differenziano per caratteristiche e per origine.
Il primo gruppo comprende depositi alluvionali fluviali, che bordano il corso del Tevere dalle sorgenti alla foce e gli analoghi depositi del fiume Paglia.
Il secondo gruppo comprende i potenti depositi fluvio-lacustri pleistocenici delle conche intermontane di Gubbio, della Valle Umbra, della conca Ternana, della Piana di Leonessa e della conca Reatina che sono stati interessati da importanti opere di “bonifica” .
Il terzo gruppo comprende gli acquiferi costieri prossimi alla foce del fiume Tevere.
Gli acquiferi alluvionali e fluvio-lacustri svolgono un’importante funzione di serbatoio di acque sotterranee. Questi serbatoi hanno attivi scambi idrici con le acque di superficie, contribuiscono alla regimazione dei deflussi superficiali e consentono consistenti prelievi di acque sotterranee naturalmente filtrate, a spese del locale deflusso superficiale.
Il regime idrologico
Il regime delle precipitazioni nel bacino del Tevere, basato sulla distribuzione mensile, può essere classificato come regime subcostiero, caratterizzato da due valori minimi di precipitazione in estate ed in inverno (con il minimo estivo più basso di quello invernale) e da due valori massimi di precipitazione in autunno ed in primavera (con il valore autunnale più alto di quello estivo). Pertanto, il regime delle precipitazioni è più simile a quello costiero, caratterizzato da valori estivi minimi e valori massimi invernali.
La precipitazione media annua è pari a circa 1.200 mm e varia tra i 700 mm a livello del mare ed i 2.000 mm nell’Appennino.
Le piene del Tevere
Nel periodo che va dall’anno 1000 al 1870 si sono avute 24 piene eccezionali del Tevere (vale a dire con altezza superiore a 16 m. all’idrometro di Ripetta), ben “documentate” dalle lapidi in pietra ubicate sui palazzi del centro storico o agli idrometri che si sono succeduti nel tempo a Ripetta o ancora dalle descrizioni degli effetti disastrosi redatte dai contemporanei. Si è visto che in alcuni periodi storici (il 1400 e il 1500 in particolare) molte inondazioni sono state rese più gravi dall’incuria e dal restringimento dell’alveo fluviale; pertanto, ad equivalenti eventi piovosi sono corrisposti nel tempo effetti differenti. La variazione nel tempo del trasporto solido e l’avanzamento della linea di costa, in prossimità della foce, aiutano a comprendere i periodi in cui effettivamente le inondazioni a Roma erano dovute ad eventi con portata veramente eccezionale.
Nel periodo di tempo di 250 anni dal 1450 al 1700, ad esempio, la linea di costa in prossimità della foce del Tevere ha avuto un avanzamento medio di circa 10 m/anno ed in tale periodo si sono avute ben 13 piene eccezionali, di cui c’è giunta notizia certa nell’intero periodo di 870 anni dal 1000 al 1870. In particolare dal 1530 al 1606 si sono avute ben 5 piene eccezionali, di cui 4 con altezza superiore a 18 m. e, tra queste, la piena del 24 dicembre 1598 che, con i suoi 19,56 m., costituisce il massimo storico, a cui è possibile associare una portata al colmo di circa 4.000 m³/s.
Relativamente agli eventi più recenti, per le 55 piene con portata maggiore o uguale a 1400 m³/s, esaminate del periodo 1921 – 2000, è stata eseguita un’analisi a cluster della distribuzione delle piogge dei 6 giorni precedenti la piena.
È risultato che piogge crescenti da monte verso valle sono le più frequenti in 29 casi, seguite dalle piogge in sostanza uniformi su tutto il bacino con 18 casi ed, infine, dalle piogge decrescenti da monte verso valle in 8 casi.
Le piene maggiori sono state generate da piogge del secondo “tipo” (2 dicembre 1900, 15 febbraio 1915 e 17 febbraio 1976) o del terzo “tipo” (17 dicembre 1937 e 3 settembre 1965).
Nel periodo 1921 – 2000 il maggior mutamento all’interno del bacino idrografico, per quanto concerne gli effetti sulle piene, è rappresentato senza dubbio dalla costruzione della diga con serbatoio di Corbara, avvenuta tra il 1959 e il 1963, che con i suoi 190 milioni di m³ ha la capacità di laminare le piene del Tevere riducendo l’entità dei colmi a Roma. La frequenza delle piene con portata al colmo maggiore o uguale a 1400 m³/s si è, infatti, ridotta di circa un terzo nel periodo 1963 – 2000 (con Corbara in funzione) rispetto al precedente periodo (1921 – 1962). A questa diminuzione ha in parte anche concorso una diminuzione degli afflussi, valutabile tra il 10 e il 15% nel corso degli ultimi 100 anni.
L’ultima piena importante a Roma risale al dicembre 1937 con un’altezza idrometrica a Ripetta di 16,84 m., cui corrisponde una portata al colmo di circa 2.750 m³/s; in concomitanza di tale evento, in ogni modo, si sono avuti soltanto limitati allagamenti in alcuni punti della città (come a monte di Ponte Milvio, all’isola Tiberina e nel Lungotevere Ripa all’altezza del San Michele). Da allora le “difese” di Roma dalle piene del suo fiume sono migliorate soprattutto, come visto, per la costruzione del drizzagno di Spinaceto nel 1940 e del serbatoio di Corsara ed, infine, grazie al migliore utilizzo delle golene lungo il corso del fiume nella zona a nord della città.
Gli interventi di sistemazione idraulica descritti, i sempre maggiori utilizzi delle risorse idriche superficiali e sotterranee ed il trend negativo dell’afflusso medio di precipitazioni verificatosi negli ultimi anni hanno determinato una migliore condizione del deflusso delle piene ordinarie.
Peraltro è da evidenziare la sempre più estesa urbanizzazione del bacino, intervenuta nel corso degli anni, con superfici rese maggiormente impermeabili, nel mentre un più elevato abbandono del territorio di montagna ha comportato, e continua a comportare, il degrado dei versanti e della rete idraulica, cui si aggiunge una sempre minore manutenzione di quel sistema di opere idrauliche e di bonifica realizzate nel corso dei secoli.
Infine è da rimarcare una sempre maggiore presenza di strutture, abusive e non, realizzate in aree destinate alla libera esondazione del corso d’acqua, con conseguenze negative, in condizioni di piena, potendo formare, se trasportate in alveo, la costituzione di sbarramenti temporanei e la successiva formazione di onde di piena artificiali ed eccezionali.
Per quanto detto, la città di Roma deve essere considerata tuttora vulnerabile anche per piene di entità pari a quelle avvenute nel passato recente (anni 1870, 1900, 1915 e 1937), che hanno avuto portate al colmo comprese tra 2.750 e 3.300 m³/s
Le piene storiche del fiume Tevere
Le piene del Tevere a Roma
dal V secolo a.c. all'anno 2000
(di Pio Bersani e Mauro Bencivenga)
Il presente lavoro si propone l’ambizioso obiettivo di riassumere 2500 anni di storia delle piene del Tevere a Roma, ragion per cui la prima parte si basa essenzialmente su una ricerca storica di quanto ci è stato tramandato dalle varie fonti bibliografiche e dai vari autori che nel tempo si sono interessati dell’argomento; mentre nella seconda parte, concernente gli ultimi 130 anni (dal 1870 al 2000), è stato possibile uno studio scientifico dei fenomeni di piena, grazie agli strumenti di misura e controllo che dal 1870 sono stati via via installati nel bacino del Tevere.
La storia di Roma è sempre stata intimamente legata alle vicende del suo fiume: il Tevere, presente sin dal tempo della leggenda della fondazione della città.
I periodi storici più felici per Roma sono stati contrassegnati da una valorizzazione del fiume e da un rispetto per esso, a cui ha fatto riscontro una migliore difesa dalle inondazioni, come testimoniano la storia dei primi secoli del periodo romano imperiale ed in epoca più recente il ’600 il secolo del grande barocco romano, in cui sono vissuti grandi pontefici e grandi artisti.
Al contrario nei periodi contrassegnati dalla mancanza di un forte potere centrale, si è avuto un degrado delle condizioni della città e del fiume e quindi spesso conseguenze più disastrose in caso di piene che provocavano inondazioni, come nel periodo medioevale (per quanto sia poco conosciuto) ed in particolare nei secoli XV e XVI.
Scopo del presente lavoro, oltre a fornire un quadro il più completo possibile sullo stato delle conoscenze, è cercare di comprendere quanto abbiano influito sulle inondazioni a Roma le condizioni climatiche e quanto l’opera dell’uomo.